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Vaderetrum del piRlota
"Perso tra le nuvole! Una catena d'errori spezzata in extremis - di Ermanno "

La vicenda che sto per raccontarvi è una storia vera, da me vissuta in prima persona, come reali sono i riferimenti tecnici; sono stati omessi invece i nomi delle persone, allo scopo di tutelarne la privacy.

È il 7 marzo 2003, sono le 16 e 30 e mi trovo sull'aviosuperficie delle "Aquile anarchiche" nel centro della Toscana, circa a metà strada tra Pisa e Firenze. Sono in mezzo al fango a "lottare" con il motore Volkswagen 1600 del mio MB2 Colibri che non ne vuoI sapere di partire (l'avviamento è a lancio).

Devo ammettere che sono abbastanza infastidito per il ritardo accumulato e lo stato acquitrinoso della pista - lunga 650 metri e costruita in una ex palude non contribuisce certo a sollevarmi il morale. Non solo sono in ritardo sulla pianificazione, anche le previsioni meteo sono così e così: lungo la rotta tempo discreto fino a S. Sepolcro, poi una copertura di nubi sull' Appennino e, infine, nella zona d'arrivo intorno alla bella pista di Valcesano, visibilità buona ma con un tetto delle nubi che inizia intorno ai 2.500 piedi; informazioni avute mediante telefonate da conoscenti in loco e confermate dai TAF (previsioni meteo in area terminale) di Rimini e di Ancona Falconara. Tuttavia le foto satellitari scaricate da Internet non sembrano poi così brutte; inoltre la rotta è piena di piste intermedie dove eventualmente atterrare. L'ho già fatta innumerevoli volte in diverse condizioni meteo e ai comandi di vari tipi di aerei - motoalianti e ultraleggeri - sempre senza problemi.

Non so decidermi; poi penso ai numerosi impegni di lavoro e alla mia compagna che mi aspetta a Fano, così scaldo ben bene il motore e decollo.
Dopotutto, ho ampi margini di sicurezza. L'autonomia di quasi tre ore per esempio è superiore alla classica regola "da A a B + alternato + 40 minuti" e la strumentazione in più di cui è dotato il mezzo potrà essere utile in caso di inconvenienti (oltre agli strumenti base ho una radio aeronautica, transponder, orizzonte artificiale, girodirerzionale e GPS; il che rende il piccolo monoplano ad ala bassa più che sufficiente per una tratta di circa un'ora e un quarto). L'inossidabile Volkswagen 1600 ora gira al regime massimo, ascoltarlo è un piacere e dà un certo senso di sicurezza. Penso che, in fondo, si tratta di un buon motore. In origine, sull'auto forniva 60 Hp a 4.500 giri ma, nel mio caso - accoppiato alla piccola elica di legno di un metro e quaranta - non supera mai i 3.400 giri, erogando nella migliore delle ipotesi 45-47 hp. Comunque è ottimamente avionizzato ed è fornito anche della doppia accensione con due candele per cilindro, uno a magnete e 1'altra pilotata da un apposito kit reperito negli Stati Uniti (per questo è stato sacrificato il motorino d'avviamento).

Il volo, all' inizio, non presenta alcunché di rilevante: fino a S. Casciano sto a 1.000 piedi per non intralciare il traffico IFR diretto a Firenze; poi, durante la lenta salita, incontro a circa 3.000 piedi i primi isolati e innocui banchi di nubi. A S. Sepolcro decido di atterrare per una piccola emergenza "idraulica" (mi scappa la pipì. . .) e mi fermo un attimo a riflettere nella più completa solitudine.

Decollo dalla pista deserta a ridosso delle montagne e salgo in ampi cerchi fin sopra alle nubi che ora iniziano a 2.500 piedi e salgono fino a 6.500. Arrivato a 7.000 con una visibilità magnifica sopra i batuffoli bianchi delle nubi, con tutto l'accertabile accertato, si impone una decisione: continuare o tornare indietro? Sono le 17 e 20 e ho già percorso circa metà dei 180 km previsti, le effemeridi scadono alle 18 e 35 e so per sicuro che a destinazione si vola bene sotto i 2.500 piedi. Inoltre il manto nuvoloso al momento presenta diversi buchi dove posso sempre infilarmi in caso d'emergenza; in aggiunta posso sempre fare dietro-front e tornare su una delle tante piste dal lato toscano, del tutto libero da nubi e che ben conosco.

Forte di tutte queste considerazioni e del mio vecchio (ma sempre valido) GPS Garmin 90, punto la prua a est verso la meta. Il volo sopra le nubi è bellissimo, ricco di una magia di sfumature colorate ma, sotto sotto, un filino inquietante... In genere rimango sempre in contatto visivo con il suolo, e mi consolo pensando che ho gli strumenti, la radio e il transponder. Quando il GPS mi segnala ancora 43 km da percorrere, succede una cosa molto spiacevole: lo schermo si oscura e appare una scritta: "No Position". Guardo sotto, e il manto di nubi ora è compatto, nessun varco. Controllo se il GPS riceve i satelliti, tutto ok; spengo e riaccendo, tutto ok, ma ancora quella scritta. . . Ho sempre preferito navigare con bussola e orologio e lo sapevo che non bisogna mai affidarsi troppo al GPS: ora ne ho la prova.

Non senza un certo fastidio (e con un inizio di nervosismo) decido che, comunque, ho già oltrepassato il punto più alto - il monte Nerone, circa 1.500 metri - e che in un quarto d'ora, con prua a est, dovrei essere nei pressi della linea di costa e quindi trovare un buco nelle nubi. Rinfrancato da questa considerazione, continuo il volo fino a che mi si para davanti, unico nella massa compatta della copertura nuvolosa, uno stretto buco che mi consente di scorgere una zona industriale al di sotto. Faccio un rapido ragionamento: se c'è una zona industriale non è un paesino di montagna. Forse si tratta di una delle valli intermedie tra le montagne e il mare. Rifletto un attimo, e poi giù in spirale stretta per non entrare nelle nubi.

Finalmente arrivo alla base, i 2.500 piedi previsti, e qui ho una sgradevole sorpresa: piove ed è buio, e le auto a terra hanno tutte i fari accesi. Per giunta sono in una valle a conca, chiusa da ogni lato dai rilievi e dalle nubi; non ci sono campi dove atterrare e il buco da cui sono uscito ora si è chiuso! Provo una sensazione strana e penso: ormai sono spacciato, tanto vale star calmo. Da questo momento è come se non fossi io a pilotare, quasi fossi solo un osservatore che non ha la propria vita in gioco… In un primo momento decido di salire, tutto motore, velocità di salita rapida a 70 mph cercando di rimanere in contatto visivo con il terreno, il che mi riesce solo a tratti. In nube trascorre un tempo che non saprei dire: dieci minuti? Venti? un' ora?

Ho perso completamente la nozione del tempo. Sento l'aereo come un'estensione del mio corpo, tutti i sensi sono protesi fuori per cercare di volare diritto e a est: so che nei pressi ci sono due rilievi di 2.500 piedi e io mi trovo a 2.650. Sono in una specie di trance vigile da cui all'improvviso mi risveglia un forte sibilo aerodinamico: mi scuoto e finalmente guardo il cruscotto invece che fuori. Ho 60 mph di velocità indicata e 60° di angolo di inclinazione laterale; sto entrando in disorientamento spaziale. Devo assolutamente interrompere la catena degli errori. Prendo le uniche decisioni possibili: 1) ali livellate 2) velocità di salita rapida 3) prua a est 4) contattare il più vicino ente fornito di radar…

"Romagna Avvicinamento da ...AK": mi sorprendo a usare quelle due lettere che non appartengono a questo aereo, ma in un attimo capisco che incosciamente ho scelto le lettere a me più familiari (sono quelle del mio moto aliante) e che quindi mi creano il minor "carico mentale" in una situazione in cui ho bisogno di tutte le risorse. Ripeto la chiamata e, finalmente, la radio gracchia: "stazione che chiama, siete incomprensibili"… Capisco come in un lampo, che se voglio assistenza devo essere chiaro: "AK è un ultraleggero in difficoltà, potete aiutarmi per favore?" Il tono della voce del controllore che mi risponde, che mi era sembrato vagamente poliziesco, diventa rassicurante e tutto proteso a tranquillizzare un pilota in difficoltà. "AK potete fornire posizione e quota?". . . "Negativo, mi sono perso"... "AK siete in contatto visivo con il suolo?"... "Negativo, AK è in nube piena" . . .

Non saprei spiegarlo; mi sembra di percepire lo scorrere dell' adrenalina nel controllore. Per quanto riguarda me è come se fossi anestetizzato: non ho paura, e mi rendo conto che non è normale. Dopo uno spazio senza tempo un altro lampo di intuizione: devo rendermi visibile. Il selettore del trasponder passa da stand-by a ON.
"Romagna avvicinamento, AK ha inserito 7.000 nel trasponder: mi rilevate?" Una voce rassicurante mi risponde: "AK, inserite 7001". "AK inserito 7001!" "AK inserite7002"... "AK ha inserito 7002!" Dietro il tono professionale intuisco la gioia: "Siete voi! Vi rileviamo: siete a 15 miglia da Fano e 20 da Falconara. Intenzioni?" "Per oggi ne ho già combinate troppe, vettoratemi per favore a Falconara, voglio la pista illuminata".

Passa così un altro terribile periodo in nube; sono cieco e le raffiche mi spostano di continuo. Sono minuti di intenso impegno in cui faccio disperato ricorso alle sole due lezioni di volo strumentale che ho fatto, al tempo più per cultura personale che per altro. Gli occhi seguono costantemente il triangolo orizzonte artificiale - anemometro - altimetro e ogni quattro giri un'occhiata al girodirezionale. Giuro che il girodirezionale lo avevo sempre sottovalutato: mi sembrava un doppione della bussola. Dopo un eternità sbuco sopra le nuvole a 7.000 piedi: è buio e c'è un altro strato di nubi molto più alto che copre la luna e le stelle, ma ècomunque un ntorno alla vita. Mi sorprendo a pensare che dopotutto, forse potrei anche farcela. Il buon controllore di volo durante tutta la lenta salita mi ha costantemente dato correzioni e anche lui, ne sono certo, ha tirato un sospiro di sollievo all'annuncio che ero di nuovo "a vista".

Tuttavia non mi devo rilassare: è buio e io non ho luci, nemmeno in cabina.
Dopo un po' chiedo se sotto di me i rilievi sono finiti e quindi se posso scendere, ma l'operatore mi risponde che può autorizzarmi solo fino a 4.000 piedi; intuisco che gli sto chiedendo troppo (saprò più tardi che sotto quella quota il suo radar non vede). Chiedo allora di comunicarmi, scandendolo ogni 5 miglia, l'avvicinamento all'aeroporto. Quando mi dà le ultime 5 miglia ho la certezza matematica che i rilievi sono finiti e dichiaro: "AK si prende la responsabilità della discesa". Tolgo motore e mi infilo, non senza una certa apprensione, di nuovo nelle nubi. Questa volta il periodo è breve e a 2.500 piedi, come da TAF, torno finalmente in contatto visivo con il suolo: è come rinascere. Le luci della terra sono bellissime e la costa poi risplende in un modo indescrivibile. Sono troppo vicino all'aeroporto ai limiti dell'ATZ: dopo aver ringraziato chiedo di darmi la frequenza della torre: in realtà me l'ero appuntata alla partenza, ma così al buio non riesco a leggerla.

Una volta passato sulla nuova frequenza, un altro controllore con voce professionale ma rassicurante mi avvisa che sono già informati, hanno seguito tutto in ascolto: sono l'unico traffico autorizzato (il solo altro aereo in circuito, un P 180, verrà deviato per i successivi 5 minuti) e mi stanno lampeggiando le luci dei 3 km di pista. Mi chiede se le ho in vista, io rispondo di no e lui mi raccomanda di evitare il sorvolo di una raffineria nelle vicinanze: siamo il giorno antecedente l'attacco americano all'Irak:, l'allerta èmassimo. Cerco di rassicurarlo: non vedo la pista ma so esattamente dove mi trovo.

"AK a Torre: sono in larga base destra per pista 04, mi vedete?" "Torre ad AK: negativo, non vi abbiamo in vista ma siete autorizzati, unico traffico" "AK a torre, sono in finale, mi vedete?" "Negativo, autorizzati all' atterraggio". "AK è atterrato, mi vedete?" "Negativo".
"Ehm.. .AK è di fronte al cartello del 3° raccordo, libero la pista e attendo" . "Torre ad AK: attendete il follow-me".
Rullo nell'oscurità più totale e mi fermo. Sono solo, sono ancora vivo e non l'avrei creduto possibile.

Ho imparato una grande lezione e, soprattutto, penso con gratitudine a quei controllori che mi hanno ricondotto alla vita.