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Vaderetrum del piRlota
"5 minuti di paura in una giornata sbagliata - di Massimo "

2 agosto 1997

Questa data resterà impressa nella mia memoria per sempre! Avevamo pernottato in un albergo vicino all'aeroporto di VienneReventin nel sud/ovest della Francia, dopo una prima giornata di volo piuttosto faticosa a causa di un forte vento di mistral. Quella mattina, la meteo non era un granché, sembrava più una giornata di fine settembre, calda sì, ma brumosa di un'aria umida e densa; il sole, giocava a nascondersi dietro a nuvolette di condensa. Ci recammo in aeroporto di buon'ora e, mentre si caricava il bagaglio e si preparavano gli ultraleggeri, il nostro leader si informava sulla meteo per la giornata. Terminate le operazioni di controllo e rifornimento, tenemmo il solito briefing pre volo: Vienne/Tarare; Tarare/Jovencurt; Jovencurt/Charle Ville le tappe previste per la giornata, meteo instabile con un fronte piovoso in avvicinamento dalla Manica. Dopo aver lungamente discusso se partire o no, fu deciso di effettuare la prima tappa e, a Tarare, chiedere un nuovo bollettino meteorologico.

In aria non avevamo particolari difficoltà se non la scarsa visibilità in distanza che ci obbligava a usare più il GPS che non la navigazione a vista, lasciandomi un vago senso di malessere; mi rincuoravo pensando che, tutto sommato, avrei imparato ad affrontare anche questo tipo di condizione che, in pianura Padana, è abbastanza frequente. Il volo non ci riservò altre sorprese, per cui, dopo circa 1h 40' atterrammo a Tarare, rifornimento e nuova consultazione meteo: la situazione non era cambiata, se non per la presenza di deboli piovaschi a nord, fu così deciso di proseguire in direzione di Jovencurt. Gli anelli della "catena degli eventi" si stavano rapidamente saldando! Si era creato un primo pericoloso fenomeno, l'effetto gregge... che cosa intendo? È semplice, quando c'è incertezza su una decisione da prendere, si demanda ad altri la responsabilità e se ne segue supinamente il giudizio, attribuendogli doti di esperienza e capacità non sempre comprovate.

Fu all'altezza di Digione che cominciarono i nostri guai, e che guai! Ero leader di un gruppo di tre velivoli, volavamo in una pseudo formazione a triangolo, quella che un attimo prima mi era sembrata foschia a tratti più o meno densa si trasformò di colpo in nebbia! Eravamo in contatto radio, ma non ebbi nemmeno il tempo di avvisare i due amici, considerata la scarsa visibilità precedente, avevamo ristretto i ranghi per restare in contatto visivo e questo mi impedì di effettuare un 180° per paura di una collisione. Ricordo chiaramente l'esortazione affannata che ricevevo in cuffia da parte del mio gregario di destra che mi esortava a scendere di quota per entrare in contatto visivo con il terreno, ma il timore di impattare sulle collinette che avevo intravisto prima del black-out, mi fece puntare il muso verso l'alto, non saprò mai se fu la scelta giusta, so che fu una reazione istintiva.

Avevo letto da qualche parte che, dopo tre minuti di volo cieco subentra la sindrome di disorientamento spaziale; dopo qualche secondo di terrore, mi sforzai di ragionare, la macchina continuava a salire di quota, la prua non era cambiata di molto, dovevo mantenere le ali livellate, verso l'alto mi sembrava di vedere un chiarore... intanto continuavo a ricevere via radio l'invito accorato del mio amico a scendere... spensi la radio per potermi concentrare meglio. Il mio Coyote grondava acqua da tutte le parti, ma verso l'alto c'era un po' più di luce! E salii ancora... non feci in tempo a "bucare" il buon senso mi obbligò a fare una scelta che si rivelò, per mia fortuna, giusta. Nel momento in cui ero entrato in nebbia, avevo la città di Digione sulla mia destra, ora, se effettuavo una larga virata alla mia destra, scendendo di quota, sarei finito sul cielo sopra la città, dove speravo di trovare aria più calda e assenza del fenomeno.

I miei calcoli, anche se empirici, si rivelarono esatti, vi garantisco che il sospiro di sollievo e riconoscenza, deve essere arrivato fino alla Madonna alla quale, pochi secondi prima, mi ero appellato con sincero fervore. Ormai sollevato, e dominato un certo tremore, consultai la carta geografica della zona, individuai nell'aeroporto di Darois quello più vicino e decisi che era meglio scendere a... diciamo prendere fiato, e dopo aver lanciato un messaggio all'aria mi portai all'atterraggio. Rimasi seduto in cabina per circa mezz'ora a rimuginare sull'accaduto e mi diedi dell'imbecille più volte, non per come avevo gestito l'evento, ma per non aver saputo dire di no al momento del decollo da Vienne. Non so quanto tempo sono rimasto immerso nella nebbia, a me è sembrato una eternità, in certi momenti è difficile guardare l'orologio!

Il fronte previsto al mattino sulla Manica era ormai arrivato e si prevedevano condizioni migliori solo dopo le ore 16. Piovigginava, e mi appisolai per un'oretta, al mio risveglio le condizioni del tempo non erano cambiate ed erano le l5h 30', cominciai a innervosirmi, chissà gli amici dove erano fmiti. Alle 16, dopo aver consultato un pilota appena atterrato e aver chiesto un nuovo bollettino che non lasciava molte illusioni, decollai; vi ricordate il detto "sbagliare è umano, perseverare è diabolico"? In direzione di Jovencurt il cielo era chiuso e decisi di avvicinarmi alla meta facendo rotta verso il campo di Chomont, un ventina di km a ovest, anche perché essendo un aeroporto ex militare, sarebbe stato più semplice da localizzare. Dopo qualche minuto ricominciò a piovigginare.

Arrivai a Chomont sotto la pioggia ormai battente, cercai l'aeroporto per ben tre volte, sulla carta c'era, ma io non lo vidi. Dovevo decidere se atterrare da qualche parte o dirigere su Jovencurt. Lo stress mi stava giocando un brutto scherzo, rimpiansi di essere decollato in quelle condizioni e di essermi rimesso in quella brutta situazione, non ero nemmeno capace di trovare un aeroporto! Stavo sorvolando per l'ennesima volta la cittadina quando vidi nella zona industriale due campi di calcio affiancati, ma senza reti di separazione, il cui lato più stretto confinava con la strada, tracciai mentalmente la diagonale fra i due angoli più distanti e decisi che se fossi arrivato assistito e basso potevo farcela... e atterrai! Sicuramente era il mio giorno fortunato(!?), attraversai la strada e andai a suonare il campanello della portineria di uno stabilimento di fronte ai campi sportivi, ripescai il numero di telefono di un amico e chiesi se potevo fare una telefonata, mi fu gentilmente risposto di no, ma che 300m più avanti, verso il paese, c'era un telefono pubblico e così sotto la pioggia che non accennava a smettere, mi misi in cammino.

Fortunatamente il telefono funzionava a monete e riuscii a mettermi in contatto con il mio amico; alcuni piloti erano riusciti ad atterrare a Jovencurt fra cui lui, ma era sua intenzione ridecollare per Charle Ville dove c'era il grosso del gruppo, le condizioni al momento erano discrete e mi informava sulla particolare ubicazione del campo di atterraggio in cima a una collina e con la pista a schiena d'asino. Ritornai al mio Coyote e, dopo aver rullato al punto più lontano della mia ipotetica diagonale, passo dell'elica al minimo, niente flap, diedi tutto motore e, presa velocità, una tacca di flap in corsa ed effettuai il mio miglior decollo "saltato", la fabbrica di fronte era molto vicina... quando la superai! Una mezz'ora dopo ero alla ricerca del campo di volo di Jovencurt che non fu difficile da trovare: a terra mi aspettava un gruppetto dei partecipanti al raid e, il racconto delle loro vicissitudini non era tanto diverso dal mio.

Ma mancava ancora una nota di colore per concludere degnamente una così tanto movimentata giornata, e arrivò puntuale. I piloti locali si offrirono di accompagnarci in paese con le loro auto, la sorpresa fu che l'unica locanda esistente era sita di fronte a un antico, ma ancora in esercizio, carcere di non so più quale secolo, e che le fortune della locanda in questione si basavano sulle visite dei parenti agli ospiti del carcere! Chiudemmo gli occhi e questa volta anche il naso!

A questo punto, dovrei trarre una morale dai fatti descritti, ma non me la sento di dare la responsabilità dei rischi che ho corso ad altri, ricordo che la legge 106 recita che ogni pilota è responsabile della condotta del proprio ultraleggero. Uno degli aspetti più negativi, in certe occasioni, è che l'entusiasmo generale minimizza il pericolo cui si va incontro, nessuno vuol apparire pavido e ci si lancia allo sbaraglio in situazioni che normalmente gestiremmo con maggior prudenza, ma non voglio dimenticare che è proprio questo entusiasmo che fa grande il nostro sport e un "pizzico" di adrenalina è il miglior condimento delle nostre avventure.