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Vaderetrum del piRlota
"I pericoli dell'euforia - di Paolo "

dicembre 1992

E' una bella giornata del dicembre 1992. Su di un campo di volo nella valle del Tevere, a nord di Roma, sede dell' ASVU (Associazione Sportiva Volo UItra leggero) di cui sono socio, si stanno svolgendo gli esami per il conferimento delle "abilitazioni" al trasporto del passeggero. La cosa mi coinvolge personalmente: anch'io devo dare l'esame. Forte delle mie 140 ore di volo, di cui più o meno 90 da "responsabile ai comandi", penso che la cosa sarà una pura formalità. In effetti così è. Con il solito Tucano che così ben conosco, in compagnia dell'esaminatore, decollo, esco dal circuito, seguo per x minuti una "rotta vera" (quindi con stima e correzione dello scarroccio) indicatami dall'esaminatore; sempre su sua richiesta viro a sinistra di 90°, proseguo ed effettuo un'emergenza simulata (motore tagliato senza preavviso dall'esaminatore) con ricerca del terreno adatto, avvicinamento, finale e riattaccata, quindi dirigo verso il campo dove facciamo un'emergenza in "chiave alta" (motore tagliato sulla verticale della pista, avvicinamento ed atterraggio sempre su "idle"). Tutte cose fatte e rifatte decine di volte, pur se non nella stessa missione, quindi nessun problema. Piuttosto euforico per il successo, porto in volo un paio di persone, poi il "boss" dell'Associazione mi chiede di portare in volo il videoperatore di una televisione locale che desidera fare qualche ripresa "suggestiva". Ok, ci penso io.

Dapprima faccio qualche giro in cielo campo per offrire al mio passeggero una vista d'insieme della valle del Tevere, che in questo punto è larga e panoramica, del monte Soratte che la sovrasta e del campo di volo affollato di ultra leggeri e di persone. Quindi decido di offrirgli qualcosa di più particolare ed emozionante, e vado a volare basso sul Tevere, risalendolo da sud-est verso nord-ovest. Questo è un tipo di volo che facciamo spesso per esercizio: volare bassi su di un fiume seguendone con precisione il tortuoso percorso migliora il controllo del velivolo, la coordinazione ed abitua ad anticipare le manovre. E, cosa che non guasta, è un tipo di volo molto suggestivo, proprio quello che cercava il mio ospite. Mi tengo all'altezza delle cime degli alberi che crescono sulle rive, e volo veloce: 5.500 giri motore e 105/11O km/h. C'è poco da sorridere: per un velivolo che stalla in volo livellato a 60 km/h, vola in crociera a 80 ed ha una VNE di 125, 110 km/h significa veramente andare veloce. Lo scopo è quello, in caso di capricci del motore, di avere energia sufficiente a scavalcare gli alberi e planare su uno qualunque dei prati di trifoglio o di erba medica che costituiscono il piatto fondo della valle.

Volando in questo modo si scopre un vero mondo: sulle piccole e rade spiaggette vediamo alcuni pescatori con la lenza, un tizio che fa non so quale lavoro sul fondo di una barchetta capovolta, e persino due ragazze che prendono il sole in costume da bagno (ma come fanno? È una bella giornata, ma siamo in dicembre!). Mentre il fiume scorre via come una pista 15 m sotto di noi, il mio passeggero, con l'occhio incollato alla telecamera, emette ogni tanto esclamazioni di entusiasmo, e io mi diverto. Il guaio è che mi lascio trascinare dall'euforia del momento e proseguo il volo oltre il tratto di fiume, ben noto e libero da ostacoli, che usiamo di solito per queste esercitazioni, addentrandomi in una zona sconosci uta. In quest'area il Tevere non serpeggia più al centro della valle, ma scorre al piede delle colline, alte 8 o 900 ft, cosicché, quando al termine di una lunga ansa che si protende verso ovest devo virare a destra, ho la visuale in gran parte chiusa. E a metà della virata mi trovo davanti un elettrodotto che, chiaramente, attraversa a metà il fiume! E dire che adesso, in un lampo, ricordo di averlo visto svariate volte volando in quota verso nord! Ho il sole ormai basso quasi in faccia e vedo solo il pilone vicino alla riva sinistra: i fili sono invisibili, ma sicuramente si alzano parecchio attraverso il letto del Tevere perché il pilone successivo deve essere molto più in alto sul fianco della collina alla mia destra.

Non perdo tempo a darmi dell'imbecille: un riflesso condizionato fa scattare nella mia mente l'insegnamento ripetuto decine di volte durante il corso di pilotaggio: "Se dovete sorvolare una linea elettrica passate sempre sopra un pilone; il pilone lo vedete, i fili no!". E questo è proprio il caso. Dritto sul pilone, cabrata e manetta avanti a battuta per spremere dal motore quei pochi cavalli che ancora mi può dare in più; il pilone si avvicina velocissimo (o almeno così mi sembra) mentre si abbassa davanti al Tucano con una lentezza che mi appare esasperante. Finalmente la cima del pilone appare chiaramente sotto la direttrice di volo, e poi sparisce sotto il pavimento della cabina. È andata bene forse per 3-4 metri! Il videoperatore non si è accorto di nulla, o forse ha pensato che fosse tutto normale, continuando a riprendere senza interruzione. Non gli dico niente, ma mentre rientro al campo continuo a ripetermi mentalmente: "Stupido, idiota, imbecille, cosa ti è venuto in mente di arrivare sino a lì? E come hai fatto a non ricordarti dell'elettrodotto?".

Dopo l'atterraggio e i ringraziamenti per il "bel volo" (beato passeggero, non sa cosa ha rischiato), ho tutto il tempo di riflettere sull'accaduto: in primo luogo sono andato a volare sopra il fiume in una zona non esplorata e di cui, elettrodotto a parte, non mi erano noti gli eventuali ostacoli. Poi in quel tratto di fiume, al di sopra dell'alveo, le due sponde hanno andamento asimmetrico: una è pianeggiante, l'altra ha un andamento marcatamente ascendente essendo la base di una collina alta tra i 2 e i 300 metri. Ciò significa che i cavi delle teleferiche che attraversano ogni fiume per il trasporto del legname, o di altri materiali, da una sponda all'altra, o per sostenere le reti a bilancia, potevano avere in quella zona un andamento ascendente e passare anche un bel pò sopra al livello degli alberi. E i cavi non si vedono... Infine, volando lungo un percorso che fiancheggiava il piede di una collina, mi precludevo ogni visibilità da quel lato, ed è stato per questo che l'elettrodotto mi ha colto di sorpresa quando ho virato a destra, il lato con la visuale chiusa. E se l'elettrodotto fosse stato più vicino alla punta dell'ansa, tanto da non lasciarmi lo spazio per sorvolarlo? E se, peggio ancora, mi fossi trovato naso a naso con il velivolo di un altro pilota che avesse avuto la mia stessa idea e stesse volando nel letto del fiume alla mia altezza e in direzione opposta? La risposta a questi interrogativi è fin troppo ovvia.

Con questi pensieri deprimenti mi tocca ancora decollare per riportare il velivolo alla base (il campo su cui ci troviamo ha solo la pista, gli hangar si trovano su un altro campo dalla pista più corta, distante circa 20 minuti di volo). Non ho più voglia di volare, anzi penso di cessare l'attività, non per timore retrospettivo di quanto sarebbe potuto succedere, ma perché penso che un pilota capace di concentrare tanti e così gravi errori (forse sarebbe meglio dire "fesserie") in pochi minuti di volo è meglio che venga messo a terra; insomma, sono tentato di "mettermi a terra" da solo. Poi, però, durante il volo penso anche che mediante quegli errori, senza conseguenze per pura fortuna, ho fatto un'esperienza importante, imparando un sacco di cose che, forse, sarebbe un peccato non mettere a frutto.

E così ho continuato a volare. Non ho mai raccontato questa brutta avventura ad altri piloti esperti, nemmeno a quelli presenti sul campo, pensando che avrebbero potuto (giustamente!) darmi dell'incosciente, ma specialmente dopo che alcuni mesi più tardi, ho acquisito la qualifica di istruttore di volo, l'ho narrato decine di volte ai miei allievi e ad altri piloti di limitata esperienza, esortandoli a non fare altrettanto e a non farsi prendere la mano dall'entusiasmo quando sono in volo.
E chissà che a qualcuno di costoro la nozione di questo "precedente conosciuto" non sia riuscita utile?