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Vaderetrum del piRlota
"L'attimo del 'mona' - di Jack "

25 febbraio 2001

Siamo in volo da quaranta minuti. Fabio, che mi accompagna a bordo del JEOF Candiana nel trasferimento da Camposampiero (PD) a San Stino di Livenza, mi fa notare che la bora triestina oggi soffia talmente forte da lambire anche il Veneto. Infatti abbiamo accumulato un ritardo di oltre dieci minuti su una tratta che impegna una mezz'ora scarsa. Fatti due conti, stimiamo un vento in prua di quasi 25 nodi. Il vento è teso, ma in avvicinamento dobbiamo vedercela con raffiche sostenute sulla destra. Il finale è nervoso e tocchiamo su una ruota, contrastando di barra e piede sinistro per mantenere la direzione, e in cento metri siamo fermi. Non si può dire che sia una gran giornata per volare, ma ci aspettano un paio di voli per sperimentare una nuova installazione sul mezzo adibito a banco-prova. Poi ci sono due marcantoni americani interessati a conoscere i risultati delle prove, e che vogliono fotografare l'aereo in volo. .. Insomma, rieccoci per aria, per una breve dimostrazione. Salgo a 1.000 piedi, dove il vento è laminare, e faccio un po' di piroette per mostrare le qualità manovriere del mezzo. E poi giù, per due passaggi in asse pista, a beneficio del fotografo. Al parcheggio però mi informano che la fotocamera ha fatto cilecca e che bisogna rifare i passaggi.

Uno dei due americani ne approfitta per salire a bordo e ridecolliamo. Come mi è stato richiesto, compio il secondo passaggio lentamente, con motore ridotto. Ma quando avanzo la manetta per riprendere velocità, il motore non accelera. Niente. Qualsiasi tentativo è inutile: il FIRE-Sax 86 gira regolarmente ma non si muove dal minimo. Siamo a una trentina di metri di quota, su un vigneto a Nord della pista. La velocità è di 110 chilometri orari. La componente del vento non ci consente di superare la piantagione, irta di pali. Con l'energia residua ritengo di riuscire ad arrivare sull'aviosuperficie, anche se, gioco forza, dovremo toccare con una direzione piuttosto angolata rispetto all' asse della pista. Il terreno a Sud, però, è sgombro di ostacoli e ciò dovrebbe metterci al riparo da grossi danni, anche se alcuni fossi di scolo non depongono a favore dell'integrità del carrello. Abbasso subito il muso ed entro in virata in discesa, con un angolo di inclinazione di circa 30° e con una velocità appena sopra i 100 km/h. La traiettoria ci porta dritti a toccare al centro della pista, con un angolo di 50°-60° rispetto alla direzione di atterraggio. A 5-6 metri inizio la rimessa della virata e richiamo per assumere un assetto orizzontale, ma l'apparecchio non reagisce e continua nella sua traiettoria. Con la coda dell'occhio vedo la lancetta dell'anemometro sprofondare verso il basso. Stiamo per toccare con l'ala inclinata sul lato destro di circa 30°, appruati di 10°-15°. Intervengo violentemente sul pedale sinistro per cercare di diminuire almeno l'inclinazione, ma l'apparecchio reagisce pigramente e riesco a guadagnare solo pochi gradi. Poi l'impatto.

L'urto non sembra troppo violento, mi aspettavo di più. La decelerazione è comunque forte e si odono i rumori di cedimento della struttura metallica sulla destra. Subito dopo, però, l'aereo ha come un sussulto e parte in rotazione in senso orario, sollevandosi da terra, per poi precipitare di piatto dopo avere compiuto 180°. Nel secondo impatto la sollecitazione verticale è piuttosto violenta. La mia posizione sul sedile, non più corretta in conseguenza del primo urto, mi procura una incrinatura a una vertebra, mentre il contraccolpo mi manda a sbattere con un ginocchio contro il cruscotto, provocandomi una frattura alla tibia. Avverto un indolenzimento al torace. Scoprirò che una fibbia della cintura di sicurezza mi ha lesionato due costole. Mi viene istintivo inspirare profondamente ed emettere un urlo. Ce lo avevano insegnato alla scuola dei caccia-bombardieri. L'urlo mi rimette in azione; escludo gli ultimi contatti e mi volto verso l'americano, che - forse spaventato dal grido - ha già quasi guadagnato l'uscita. Cercò di imitarlo, ma l'operazione si rivela un po' più complicata della sua. Fortunatamente è già arrivato Alberto, un amico pilota, che mi trascina letteralmente fuori dalla cabina. L'americano si è sbucciato una caviglia contro la pedaliera; probabile conseguenza della mia violenta spedalata quando ho cercato di raddrizzare l'aereo, e ora trema di freddo e per lo shock. Sdraiato sul prato in attesa dell'ambulanza cerco di spiegarmi il comportamento della macchina nell'ultima fase del volo. Tutto sommato mi sembra di avere agito correttamente. Ho sfruttato fino in fondo la poca energia cinetica di cui disponevo per arrivare fuori dalla zona ostacoli, con una virata non accentuata contro vento.

Già, il vento. Le leggere folate che avverto a livello del terreno mi ricordano che pochi metri più su la bora soffiava piuttosto tesa, e aveva rinforzato arrivando almeno a 50 km/h. Lo sguardo mi cade su un boschetto di alberi alti una ventina di metri e distanti un centinaio, giusto sopravvento. Forse nell'ultima parte della virata l'apparecchio è entrato nell'ombra aerodinamica delle piante, che ha causato una drastica riduzione della velocità del vento. Il doppio urto, invece, forse si spiega con il fatto che la semi ala destra, accartocciandosi, ha ammortizzato molto bene l'urto con il terreno, ma il longherone principale non si è spezzato e si è comportato come la lama di una balestra, raddrizzandosi all'ultimo istante e restituendo parte dell'energia. Sull'ambulanza siamo in due, io e l'americano. Nel tragitto verso l'ospedale il marcantonio si scuote dal suo torpore e con un largo sorriso mi dice: "Però, gran bell'incidente Jack". Francamente, lì disteso sulla barella, steccato e impacchettato, non mi riesce di cogliere l'aspetto esteticamente interessante della faccenda, e, detto fra noi, ancora mi è difficile. In seguito mi confermeranno che l'inconveniente tecnico all'origine dell'incidente è stato un cattivo montaggio del gruppo della farfalla. Una vite non frenata, allentandosi, ha portato allo scollegamento del cavo della manetta.

Morale. Pur dando per scontato che un incidente è causato da una somnia di circostanze anche di natura cabalistica, alcune cose vanno sottolineate.
1) Da parte del pilota c'è stata leggerezza nella pianificazione dei voli in condizioni meteorologiche non ottimali e, in particolare, nell'avere compiuto un passaggio basso e lento in una direzione non confacente l'orografia con quelle condizioni di vento
2)L'ombra aerodinamica indotta da un ostacolo alto (come le piante) è sicuramente un elemento di forte disturbo, anche se non facilmente localizzabile e valutabile a priori.
3) L'imprecisione di montaggio del gruppo farfalla è chiaramente un problema di procedura di lavorazione.
Le statistiche riportano che la percentuale di incidenti dovuti a errori di montaggio è sensibilmente più elevata sulle installazioni prototipiche, proprio a causa degli innumerevoli interventi e manipolazioni a cui sono sottoposte.
E poi volevo dire questo: dalle mie parti si è portati ad assolvere il cosiddetto "fattore umano" con l'adagio che "i cinque minuti del 'mona' capitano a tutti". Dato il coinvolgimento diretto nella faccenda, perdonatemi se considero tale punto di vista con una certa benevolenza. Ma per chi vola, quei pochi secondi da "mona" sono comunque troppi. Anche rapportati a un'intera vita. .